Massimiliano Fanni Canelles – Introduzione “Avanguardia TEAL”

AVANGUARDIA TEAL

Il futuro delle organizzazioni aziendali. Dinamiche e metodi per lavorare in gruppo e conoscere sé stessi

Introduzione 

La vecchia teoria dell’organizzazione scientifica del lavoro consisteva nel concepire il pensiero organizzativo solo attraverso strutture e procedure; si scopre ora che lo spirito umano è il migliore strumento di integrazione che permette di affrontare la complessità. 

Michel Crozier 

Raggiungere risultati rilevanti non è semplice e non tutti riescono a farlo. Contribuiscono infatti molteplici elementi, come i propri talenti, l’istruzione, l’educazione, la formazione, i genitori, gli insegnanti e naturalmente anche la fortuna. Anche i luoghi dove si nasce e si trascorre la fase infantile e adolescenziale della propria vita possono fare la differenza. Ma non basta. Nel successo o insuccesso, giocano anche altri fattori che spesso vengono sottovalutati: il proprio carattere e quello delle persone con cui si interagisce, le tipologie di relazioni instaurate con il prossimo, la capacità di comunicare, la resilienza alle avversità, la determinazione, la volontà e il tipo di intelligenza a cui si è più affini. 

Sebbene la comunità scientifica abbia sviluppato dei modelli per la valutazione dell’intelligenza, tuttavia, ancora oggi, non concorda universalmente su una sua definizione univoca. Nel progresso degli studi psicoanalitici del Novecento si è evidenziato come l’intelligenza sia il risultato di abilità cognitive (logica, ragionamento, memoria) combinate ad altri aspetti della personalità e a capacità come la concentrazione, la tenacia, la capacità di moderare. Lo psicologo Howard Gardner, sulla base di ricerche realizzate su soggetti affetti da lesioni di interesse neuropsicologico, ha considerato sempre meno il test del QI, mentre ha distinto ben nove manifestazioni fondamentali dell’intelligenza, derivanti da strutture differenti del cervello e indipendenti l’una dall’altra. È stato scoperto poi che l’intelligenza varia col passare del tempo, può avere una predisposizione genetica, ma è legata all’apprendimento, all’esposizione agli stimoli ambientali e alle modalità con cui questi interagiscono con la propensione dell’individuo.

Le varie intelligenze sono quindi determinanti nei risultati che si raggiungono e ottengono nella propria vita e nelle relazioni sociali. La società moderna, caratterizzata da alti livelli di complessità e interazione, impone sempre più spesso una gestione collettiva e condivisa degli impegni e delle esigenze quotidiane. Imparare a relazionarsi bene in gruppo permette di conciliare le opinioni e le prospettive di persone molto diverse tra loro. Da queste sinergie possono emergere ottime performance, a patto che si impari a gestire il confronto e la coordinazione con gli altri, tenendo ben presente quali sono gli obiettivi comuni. 

Solo quando le persone interagiscono le une con le altre in modo sinergico e sulla base di aspettative condivise, allora, si è in presenza di un gruppo. Ma le azioni degli individui all’interno e all’esterno del gruppo non corrispondono quasi mai alle stesse azioni del singolo in quanto tale. In molte circostanze può capitare che le persone si comportino in modo diverso in gruppo rispetto a come si comporterebbero singolarmente, talvolta anche in maniera opposta. È la scienza della complessità che studia questo fenomeno. Oggi si è a conoscenza del fatto che il comportamento globale, collettivo delle molte parti in interazione, non può essere derivato in maniera semplice dallo studio dei singoli componenti: il gran numero di elementi e la loro interazione fa emergere comportamenti nuovi e diversi. Questo dipende dal fatto che il gruppo spesso diventa un’unità a sé stante, indipendente, autonoma, con proprie caratteristiche. E il gruppo stesso si sviluppa, o muore, a seconda delle interazioni fra gli individui che ne fanno parte. Sono stati condotti molteplici esperimenti di psicologia sociale sulle dinamiche dei gruppi i cui risultati hanno fortemente stimolato la ricerca e lo sviluppo di nuove modalità di interazione. Le persone si riuniscono insieme per svariati motivi, si possono sentire legate da aspetti affettivi, emotivi, idealistici oppure pragmatici, perché hanno degli obiettivi comuni, come accade nella scuola, nell’ambito lavorativo e sportivo. Sono tutti elementi, però, all’interno di una macro area che è rappresentata dalla società e dalla cultura di riferimento. E forse proprio per questo, in genere, la gerarchia all’interno del gruppo è correlata a sua volta al prestigio e allo status dei soggetti stessi all’interno della società in cui vivono (si vedrà questo aspetto nella terza parte del libro). Dallo scambio e dalle relazioni che avvengono tra queste diverse identità individuali si forma, nel tempo, quella che viene denominata identità di gruppo e che può essere definita tale nel momento in cui i singoli componenti si riconoscono in essa come elementi di un’entità superiore, che unisce e prescinde dalle singolarità. Quindi, come detto, il gruppo e la sua identità non sono semplicemente la somma delle singole persone che lo compongono e dei ruoli che svolgono fra loro e ricoprono nella società. Il gruppo e la sua identità sono il risultato del valore aggiunto generato dall’interazione di ognuno dei componenti con gli altri e dalle azioni e reazioni che vengono poste in essere dagli stessi, sia come stimolo che come ostacolo nei confronti degli altri. Il gruppo è dunque un sistema in cui tutti i membri agiscono con interscambi continui formando un unico complesso, soggetto a determinate regole, denominate dinamiche. Spesso, il filo conduttore per questi casi è la capacità delle singole unità di un gruppo di conformarsi con le esigenze e per gli obiettivi del gruppo. È possibile paragonare questa dinamica con ciò che succede in uno stormo di uccelli tutti ordinati in formazione o in un branco di pesci che disegna traiettorie impossibili con incredibile coordinazione collettiva o ancora alle dinamiche di una squadra nella migliore performance sportiva.

Ecco, questa è l’intelligenza reattiva: la capacità di reagire, rispondere e adattarsi velocemente a dinamiche, stimoli, azioni e reazioni che si verificano in un gruppo a seconda dell’ambiente circostante in continuo mutamento. 

All’interno di un gruppo è quindi fondamentale sviluppare questo tipo di capacità, ma anche, e soprattutto, un’altra tipologia di intelligenza molto studiata nella psicologia recente, quella emotiva. Secondo Goleman (2014) l’arte della leadership basata sull’intelligenza emotiva permette di centrare gli obiettivi attraverso la qualità del lavoro di tutti i componenti del gruppo. «L’arte della leadership – afferma Goleman – consiste nel portare e mantenere le persone ai massimi livelli di performance e questo accade quando le persone sono nel migliore stato di benessere personale. È uno stato ottimale chiamato flow, in cui la persona rimane stupita dai risultati che ottiene». Questo stato di concentrazione massimale è stato poi analizzato e studiato da vari psicologi, come si vedrà più avanti. È necessario, inoltre, considerare che le dinamiche dei gruppi non sono solo importanti per il raggiungimento degli obiettivi personali o aziendali, ma anche perché condizionano profondamente la società all’interno della quale il gruppo interagisce. 

Per comprendere questo concetto è sufficiente pensare a esempi negativi come le gang malavitose in alcuni quartieri e i gruppi mafiosi nella criminalità, oppure positivi, come i gruppi di studio dei college, i centri sportivi e universitari, fino ad arrivare agli ambienti stimolanti di confronto continuo della Silicon Valley. I gruppi creano relazioni che a loro volta generano continue interazioni di idee, comportamenti e azioni che influenzano profondamente i membri del gruppo, così come gli individui all’esterno di esso e anche altri gruppi affini. L’ambiente che si forma, cresce e prolifera crea degli orientamenti di azioni e teorie che plasmano le società, come si può notare per esempio nell’ambito dei gruppi politici, delle religioni e nelle sette. Per comprendere queste forze è necessario percepire in che modo la vita sia dipendente dalle relazioni sociali. Tutti gli esseri umani e alcune specie animali, come i primati, non possono crescere e svilupparsi in mancanza di relazioni sociali. E sono proprio queste interazioni che possono condizionare le idee e i comportamenti. Condizionamenti che in alcuni casi, quelli negativi, possono diventare vere e proprie manipolazioni che inducono a comportamenti al di là della propria consapevolezza, al contrario di quelli positivi che permettono il progresso che ha caratterizzato i successi dell’umanità. In questo modo ci si trova di fronte al concetto di intelligenza sociale, cioè la capacità di relazionarsi con gli altri in maniera efficiente, costruttiva e socialmente compatibile. Chi ha maggiori capacità di sviluppare un elevato livello di intelligenza sociale possiede anche maggiore attitudine e propensione ad abbandonare l’interesse individuale per porre l’attenzione sulle esigenze dell’ambiente in cui vive. Si tratta di individui creativi, con sviluppato senso critico e capaci di analizzare al meglio la complessità della realtà. 

Gli esperti specializzati in psicologia delle masse sono ben consapevoli di tutto questo. Sì, perché il consenso – che sia politico, elettorale, associativo o di altra natura – si raggiunge potendo influenzare e manipolare l’opinione pubblica. Nel secolo scorso si sono verificate esperienze disastrose in questo senso. Le ansie e le paure generate dalle crisi economiche come da quelle diplomatiche sono state utilizzate come determinanti elementi di manipolazione. Ieri, come oggi, sempre più strumenti di comunicazione, dalla radio, alla TV a Internet, vengono utilizzati per incutere alle masse questi sentimenti. Negli spazi virtuali come i social network il consenso a un’ideologia come a un tema di attualità, indipendentemente dalla veridicità, diventa strumento di potere. Lo dimostra lo sviluppo di movimenti contrari alle logiche scientifiche che si diffondono e crescono esponenzialmente. Esistono gruppi che promuovono ideali di razzismo e incitamento all’odio, basati su stereotipi e pregiudizi, oppure di aberrazioni nozionistiche divulgate da terrappiattisti e novax. Questo fenomeno è dovuto alla percezione distorta della realtà, provocata da una carente maturazione sociale che impedisce di analizzare correttamente la complessità che circonda. Recentemente, a sostegno di Donald Trump, nell’ambito dell’estrema destra, ha fatto scalpore il movimento QAnon che denuncia il rapimento, la violenza e l’uccisione di bambini per ricavare una sostanza, l’adrenocromo, che conferirebbe una sorta di immortalità. È evidente che la diffusione di un consenso così elevato a distorsioni così palesi degli avvenimenti debba far preoccupare, non poco, riguardo al prossimo futuro. 

Tuttavia ogni individuo, indipendentemente dal fatto che lavori in gruppo o singolarmente, ricerca sempre la massima gratificazione da quello che fa. Questo aspetto è fondamentale e deve essere sempre preso in considerazione nelle dinamiche psicologiche. La gratificazione rende liberi dai condizionamenti di massa e permette di superare le frustrazioni, ma soprattutto genera una maggiore capacità critica che permette di analizzare meglio le informazioni e rafforzare l’autostima. 

Essere gratificati e ricevere ricompense corrisponde ai cosiddetti rinforzi, che sono particolarmente importanti in ambito educativo. Vengono infatti utilizzati per insegnare un determinato comportamento o per eliminarne uno negativo. È importante sentirsi apprezzati dagli altri, ma soprattutto da sé stessi. Superare lo sconforto e le ansie, accettarsi e attribuirsi il giusto valore è fondamentale in ogni contesto e ambito della vita per rafforzare la propria sicurezza e le proprie capacità. 

Pertanto, il primo sottobiettivo strategico per ottenere il successo è quello di raggiungere uno stato di gratificazione per ogni azione che si compie. L’ambiente in cui più frequentemente si sperimentano consapevolmente, o meno, queste emozioni è quello lavorativo, in cui di solito si trascorrono la maggior parte delle ore della propria vita e, proprio per questo, è il luogo in cui si dovrebbe imparare quali siano le migliori dinamiche di gruppo per raggiungere lo stato di autostima. 

Su questo aspetto sono importanti i lavori dello psicologo ungherese Csikszentmihalyi, una delle voci più importanti nell’ambito della ricerca della felicità, colui che nel 1975 ha teorizzato lo stato di flow, cioè il coinvolgimento emotivo massimale, la trance agonistica. Tutti, almeno una volta nella vita, hanno provato l’esperienza di totale immersione trovandosi partecipi di qualcosa, un evento, una situazione, una gara sportiva, un momento di una relazione, un progetto lavorativo, un’esperienza talmente totale e immersiva da isolare da tutto il resto, escluderne qualunque altra e non consentire alcuna distrazione. Questo per esempio accade spesso nelle situazioni di gioco o in gare sportive. La sensazione di immersione e totale coinvolgimento è definita trance agonistica, il momento da raggiungere per riuscire a sentirsi imbattibili, far coincidere l’obiettivo personale con quello del gruppo e raggiungere la gratificazione ricercata e desiderata. Quando si riesce a raggiungere lo stato di flow il singolo e il gruppo agiscono in sinergia e si può ottenere la massima performance. Fondamentale è il controllo degli impulsi nel regolare i propri stati d’animo, in modo che essi facilitino, invece di ostacolare, il pensiero e la motivazione per insistere e riprovare nonostante gli insuccessi. Per raggiungere questo obiettivo la strada è lunga e spesso è necessario comprendere come superare gli ostacoli che la vita pone davanti. Ostacoli che nella maggior parte dei casi vengono visti in maniera negativa e che, invece, stimolano a trovare nuove soluzioni, nuove strade e diventando quindi trampolini di opportunità. È il concetto di resilienza. 

Il flow è infatti rappresentato dal fiore di loto, un fiore bellissimo che nasce nell’acqua stagnante, la metafora della percezione negativa che tutti provano nell’affrontare le difficoltà, ma che permette la nascita di qualcosa di sublime. In fondo questa pianta è la rappresentazione ideale dell’essere umano che, pur macchiandosi delle peggiori azioni distruttive, è stato in grado di immaginare e creare le più grandi meraviglie di questo pianeta, dall’arte al progresso ingegneristico e tecnologico. 

Studiando questi aspetti psicologici e cercando di immaginare delle idee che permettessero di raggiungere la migliore performance aziendale ho sperimentato alcune strategie da applicare nel campo del terzo settore (associazioni e fondazioni) e nell’ambito della sanità pubblica in cui ho lavorato, in particolare nella direzione della SOS (Struttura Operativa Semplice) di nefrologia e dialisi all’Ospedale di Cividale del Friuli di cui sono stato responsabile fino al 2019. Il mio intento è stato quello di trovare un metodo valido e riproducibile per migliorare sia le prestazioni del reparto che la qualità di vita degli operatori sanitari e dei pazienti, senza incidere sul budget aziendale. 

Per comprendere come rendere maggiormente efficace la connessione tra sviluppo organizzativo e individuale, migliorare le performance e quindi il raggiungimento dello stato di flow, ho ipotizzato quattro pilastri che possano reggere questo processo. Quattro pilastri, analizzati nella prima parte del libro sulla base di alcune nozioni di neuroscienze, psicologia, filosofia e sociologia, che permettono di sviluppare quella che viene definita leadership orizzontale, approfondita in seguito. 

Il primo pilastro corrisponde alla leggerezza, da non confondere con il concetto di superficialità, teorizzata da Italo Calvino nelle Lezioni americane (Calvino, 1988). Corrisponde alla necessità di non caricarsi sulle spalle uno zaino troppo pieno di dubbi e incognite che impedirebbe di fare anche solo i primi scalini della strada impervia da percorrere per raggiungere i propri obiettivi. 

Il secondo corrisponde alla capacità comunicativa. È facile non accorgersi che spesso, e soprattutto per concetti astratti, ciascuno attribuisce sfumature e significati diversi alle parole. Su questa differente accezione incidono il proprio carattere e la propria personalità e proprio queste differenti interpretazioni creano incomprensione. 

Il terzo pilastro è la gamification, l’applicazione di dinamiche tipiche del gioco in contesti non ludici. Questo fenomeno, applicato in ambiti o situazioni solitamente noiosi e poco tollerati, come accade per esempio in ambienti lavorativi, genera processi e dinamiche tipiche del gioco, come la competizione, la partecipazione e il divertimento, la collaborazione e il raggiungimento dell’obiettivo. 

Il quarto pilastro è il concetto Teal (Technology-Enhanced Active Learning) che scardina tutte le dinamiche di gruppo abituali e consolidate, dove lo status e la gerarchia non hanno più i valori usuali, dove il leader non è un capo ma un esempio. Ciò che conta in questi casi non è più solo il successo del singolo, ma la realizzazione della persona nella sua interezza insieme a quello del gruppo, in cui la gerarchia cade, lasciando il posto alla relazione tra pari, e dove gli individui possono essere paragonati a cellule di un organismo vivente in grado di auto-organizzarsi e di sviluppare relazioni profonde. Queste organizzazioni sono guidate da un proposito evolutivo che guarda oltre, il profitto e gli interessi economici passano in secondo piano. Il belga Frederic Laloux (2016), che ha introdotto il paradigma Teal, analizzando la storia dell’umanità, ha evidenziato come a ogni fase di sviluppo dell’essere umano sia corrisposto un modo diverso di collaborazione tra le persone. Dalle forme più ancestrali, caratterizzate da logiche verticistiche e dittatoriali, alle forme sempre più moderne, dove logiche orizzontali hanno prevalso su quelle più arcaiche, nell’ottica di perseguire la tutela dell’ambiente e degli individui. Nel tempo storico dell’umanità i sistemi piramidali si sono progressivamente appiattiti raggiungendo una sempre maggiore orizzontalità. La piramide, dove al vertice risiedeva il capo supremo che ordinava ai subalterni costretti a obbedire, progressivamente è diventata sempre più bassa, allargando a dismisura la base: è il concetto di orizzontalità. 

L’approccio dell’orizzontalità, che considera lo sviluppo individuale legato allo sviluppo organizzativo, era stato già introdotto dallo psichiatra olandese Bernard Lievegoed. Il suo libro Developing organizations (1973) è stato tradotto in inglese dal Tavistock Institut di Londra che selezionava i migliori libri di management orientati allo sviluppo dei sistemi socio-tecnici. Le idee di Lievegoed sono state di ispirazione per molti impulsi innovativi del pensiero organizzativo orizzontale, quali in particolare la lean, la U Theory di Otto Scharmer, la metodologia dell’evidenza di Bekman di IMO international e i suoi sviluppi (2007, 2010, 2017, 2018), la metodologia della leadership orizzontale e delle organizzazioni integrate (LOOI), sviluppata in un progetto multidisciplinare del CNR con IMO International da Erica Rizziato (2020) che ha ripreso anche l’importante impulso di Adriano Olivetti. In futuro sarà quindi possibile trovare sempre più nuove modalità di leadership, di responsibilità, di assegnazione dei compiti e di riconoscimento dei meriti. 

Sì, anche il concetto stesso di meritocrazia verrà messo in discussione. Oggi, nel sistema prevalentemente capitalistico, la meritocrazia è la parola chiave nelle aziende di maggior successo e reputazione. Ma, come spiega Vittorio Pelligra in un articolo uscito sul «Sole 24ore» alcuni aspetti e valutazioni stanno modificando il valore di questo termine. Il mito della meritocrazia viene posto come principio base per una società giusta, in realtà può essere vista anche come una distopia, una legittimazione morale della disuguaglianza. Se applicata acriticamente, la retorica della meritocrazia porta a pensare che è necessario premiare, socialmente, economicamente, politicamente, chi ce l’ha fatta, il passo successivo è l’equivalenza per la quale premiare chi ce la fa implica punire chi, invece, non ce la fa. Quindi premiare chi ottiene risultati mette in luce chi non è riuscito a raggiungerli e inevitabilmente incrementa le disuguaglianze, peraltro legittimandole in virtù di capacità dimostrate e obiettivi raggiunti. Di fatto, il mito della meritocrazia potrebbe non essere adeguato come principio fondante e ordinatore di una società giusta. Da non sottovalutare, tra l’altro, il ruolo giocato dal caso, dalle circostanze, dalle coincidenze e, banalmente, dalla fortuna nel contribuire al successo e al raggiungimento di esso. Spesso non basta solo impegno, capacità e determinazione, ma incidono anche molti altri elementi, compresi gli strumenti e le possibilità che si hanno a disposizione. 

In ogni caso la trasformazione del management aziendale secondo le metodologie di leadership orizzontale rivoluzionerà il concetto stesso di azienda profit. Quello che colpisce di questi nuovi modelli organizzativi è la nascita di nuovi meccanismi di fiducia e responsabilizzazione nei confronti dei dipendenti, dove la responsabilità e il merito vengono distribuiti in favore di una gratificazione distribuita. Le persone non sono più semplici elementi di un ingranaggio ma parte di una struttura organizzativa le cui pratiche la rendono rivoluzionaria. 

«Trasformare in tal senso i luoghi di lavoro significa ri-burocratizzare e ri-umanizzare le relazioni, sostituendo il controllo e la sfiducia con l’uguaglianza e l’equità di trattamento, così che le persone si possano sentire essere umani, invece di risorse umane» (Isaac Getz, professore alla ESCP). Per poter realizzare completamente il management orizzontale deve sussistere ed essere consolidato un prerequisito fondamentale che riguarda il singolo e la sua interiorità. È indispensabile che le persone lavorino sulla loro evoluzione individuale. Primo tra tutti, è proprio il leader che deve trasformare sé stesso e comprendere che in questo paradigma non esistono capi e, in virtù di questo, deve saper gestire e ridimensionare il proprio ego a vantaggio del gruppo. Questo comporta, non solo una trasformazione di sé stessi, della struttura organizzativa e delle relazioni che si verificano al suo interno, ma soprattutto uno sviluppo interiore che coinvolge pienamente il singolo individuo. Le persone che partecipano a un’organizzazione orizzontale partecipano anche a un percorso psicologico che prevede la nascita di una visione olistica e complessiva per le esigenze del gruppo. 

Sia nel paradigma Teal, così come è stato realizzato nelle mie applicazioni, che nella leadership orizzontale, non esistono “capi” nel senso classico: le persone sono chiamate a far parte di una visione olistica e complessiva che connette le esigenze economiche del gruppo di lavoro e dei clienti o pazienti. 

Esigenze e obiettivi che possono evolvere e cambiare anche completamente prospettiva nel corso degli anni. D’altronde, proprio perché si va verso approcci che considerano l’organizzazione alla pari di un organismo vivente, non esiste un modello standard che possa andare bene per tutti, di conseguenza non lo si può gestire e concepire in maniera rigida, stabilendo a priori ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Per questo è necessario, come sottolinea Rizziato (2020), «un approccio esplorativo e sperimentale in cui i soggetti sono sperimentatori e parte del processo da sperimentare, del quale assumono a vario titolo la responsabilità». Come afferma Laloux (2016) «sarà l’organizzazione stessa, nella pratica, a mostrare cosa potrà andare e cosa no. Ciò che non funzionerà sarà scartato e ciò che funzionerà si diffonderà rapidamente nel sistema». 

Questo libro, quindi, racconta lo stato di avanzamento durante gli anni di ricerca e sperimentazione, nei quali ho approfondito e cercato di integrare in modo personale le pratiche Teal. Ho incontrato successivamente la proposta LOOI che ha stimolato l’interesse per l’ampia gamma di pratiche sul collegamento tra sviluppo delle persone e delle organizzazioni. Anche questa viene proposta nel libro, seppur in forma sintetica, con l’intenzione di contaminare la mia ricerca con quella del CNR e IMO International. 

In queste pagine viene presentata una fotografia di quanto ho sviluppato e sto sviluppando per ricercare soluzioni sempre migliori per rendere le organizzazioni, specie quelle sanitarie in cui lavoro, dei luoghi di benessere sia per i pazienti che per le persone che quotidianamente si adoperano per migliorare il supporto che offrono alla collettività.

La ricerca continua, la sfida è grande, perseguirla fa parte del senso della vita e del lavoro e, quindi, dell’identità sociale, individuale e collettiva.

Massimiliano Fanni Canelles

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.